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lunedì 25 marzo 2013

Sniper: Gost Warrior II recensione




Il genere degli sparatutto è probabilmente quello che è prosperato maggiormente durante l’ultima generazione di console. Ogni anno vengono rilasciati numerosi fps e, se da una parte alcuni brand possono contare su un pubblico fortemente fidelizzato che non aspetta altro che il nuovo capitolo annuale della sua serie preferita, altri sviluppatori hanno deciso di guardare altrove, offrendo esperienze diverse dallo sparatutto veloce e adrenalinico giocato prevalentemente online. È questo il caso della serie Sniper: Ghost Warrior, che con il suo focus particolare sulla figura del cecchino si rivolge a quella nicchia di utenza amante degli appostamenti e degli headshot da lunga distanza. Dopo quasi tre anni dall’uscita del primo capitolo, City Interactive ci riporta nel pieno dell’azione con Sniper: Ghost Warrior 2. Il primo capitolo si era rivelato un buco nell’acqua, vediamo insieme se gli sviluppatori hanno saputo sfruttare a dovere questa seconda chance.





One shot, one kill

La campagna single player prende il via nelle Filippine, dove impersonando il capitano Cole Anderson siamo sulle tracce di un gruppo di terroristi controllato da un pericoloso trafficante d’armi. In un assalto a un laboratorio chimico dislocato in Siberia, i malviventi sono entrati in possesso di una pericolosa arma biologica, con l’intento di venderla sul mercato nero al miglior offerente. Il nostro compito è ovviamente quello di impedire che avvenga tale scambio, recuperare la refurtiva e, nel caso, eliminare il capo dell’organizzazione. Il pretesto dell’arma rubata non è certo uno dei più originali, ma ha il pregio di portarci in giro per il mondo, permettendo di ambientare i tre atti di cui è composta la campagna in tre differenti location ognuna con caratteristiche uniche. 
Come detto si parte dalle foreste e dalle grotte umide e selvagge delle Isole Filippine, per poi arrivare in una Sarajevo distrutta dal conflitto balcanico dei primi anni novanta e concludere con una sessione ambientata tra i pendii e i santuari buddhisti del Tibet. Nonostante l’incursione nel 1993, il gioco è ambientato ai giorni nostri, ma il flashback nei Balcani avrà il suo peso nella narrazione dei fatti odierni. Peso che tuttavia è ben lungi dall’essere accettabile. La campagna infatti è lunga sei ore scarse e la trama non è altro che un blando collante tra le dieci missioni da cui sono costituiti i vari atti. I personaggi di entrambi gli schieramenti sono poco caratterizzati e la storia manca completamente di ritmo e mordente, risultando piatta, poco ispirata e con un finale decisamente frettoloso e sbrigativo. 



Follow me

Essendo doppiato in inglese e sottotitolato in italiano, follow me sarà una delle frasi che sentirete maggiormente durante le vostre sessioni di gioco. Il problema principale del titolo, infatti, consiste nella presenza costante al nostro fianco di un collega. Avere un partner controllato dall’intelligenza artificiale nella maggior parte dei casi ha portato i giocatori a lamentarsi della scarsità della stessa, ma in questo caso gli sviluppatori polacchi hanno deciso di invertire le parti, facendo impersonare a noi il ruolo di spalla a supporto delle azioni del compagno. Qui nasce il problema: per la quasi totalità del gioco ci troviamo a prendere ordini da un leader, privati di qualsiasi libertà di azione. Se a questo aggiungiamo scene scriptate e un level design ripetitivo fatto da un susseguirsi di lunghi corridoi e spazi più ampi, si capisce subito perché Sniper: Ghost Warrior 2 sia riuscito particolarmente bene. Ribaltare sul giocatore il ruolo di spalla snatura completamente il titolo, togliendogli l’approccio tattico e strategico necessario per rendere profondo e appetibile un prodotto di questo genere. Avere una figura che indica di continuo l’ordine in cui uccidere i nemici, quando camminare, quando fermarsi e dove appostarsi rende inutile l’utilizzo dei vari binocoli, visore notturno e visore termico che invece avrebbero dovuto essere messi a disposizione del giocatore per pianificare in autonomia la migliore strategia offensiva. 
Una volta che ci si trova appostati con il fucile in mano non si può negare l’ottima realizzazione delle fasi shooting: la balistica è realizzata a dovere e la kill cam dà le sue soddisfazioni. Nelle sparatorie dalla media distanza invece dobbiamo assicurarci di agire in fretta per evitare gli scontri ravvicinati, in quanto bastano uno o due proiettili per ridurci in fin di vita. Altra nota dolente è l’intelligenza artificiale dei nemici, che spesso non si accorgono di un collega ucciso nelle vicinanze o dei rumori provocati dai nostri spostamenti.
Oltre alla campagna in singolo è presente il multiplayer, che offre la possibilità di giocare partite in team deathmatch con un massimo di dodici giocatori. Vista la scarsa longevità del singleplayer ci aspettavamo qualcosa in più sotto questo profilo, soprattutto per la presenza di due sole mappe. Inoltre, vista la quasi costante presenza di un compagno di supporto durante l'avventura, una modalità cooperativa non sarebbe stata una cattiva idea.




Respira profondamente

Se si parla di cecchini, non è solo l’arma a fare la differenza. Mirino, gittata e rinculo del fucile hanno sicuramente un’importanza rilevante quando si è chiamati all’azione, ma prima di tutto è lo stesso soldato a dover essere nelle condizioni ottimali per riuscire a piazzare un proiettile in testa a un avversario posto a un paio di centinaia di metri di distanza. In tal senso è necessario tenere sotto controllo l’indicatore di battiti cardiaci del nostro alter ego virtuale durante l’appostamento. Se verremo scoperti, infatti, il cuore incomincerà a pompare più velocemente destabilizzando la mira e rendendo più facile commettere errori. Lo stesso effetto lo avranno gli scatti da un’area all’altra della mappa: è meglio assicurarsi che il campo sia libero prima di muoversi velocemente, in modo da evitare di dover ricorrere con troppa foga al fucile, che sarà più indomabile che mai. Per stabilizzare la mira, invece, potremo trattenere il fiato per un breve periodo di tempo attivando una sorta di bullet time: l’ambiente attorno a noi rallenta il suo corso dopo l'attivazione e il mirino va a fuoco lasciandoci tutto il tempo per decidere dov’è meglio piazzare il proiettile. 
Anche la balistica ha un ruolo fondamentale e in Sniper: Ghost Warrior 2 è sicuramente la parte meglio riuscita. La distanza dal bersaglio, il tipo di fucile utilizzato e la presenza di correnti d’aria modificano la traiettoria del proiettile rendendo necessari degli aggiustamenti rispetto all’indicatore del mirino. Nei primi due livelli di difficoltà, nel mirino del fucile viene visualizzato un pallino rosso che rappresenta il punto in cui andrà a impattare il proiettile tenendo conto di tutte le variabili di cui sopra, rendendo fin troppo semplicistico prendere la mira. Quando invece si gioca a livello esperto, le cose si fanno più interessanti e tutto è lasciato nelle mani del giocatore che dovrà apportare autonomamente tali correzioni. Un cecchino però ha raramente più di un’occasione per far fuori il suo bersaglio: mancandolo al primo colpo riveleremo la nostra posizione attirando verso di noi i soldati nemici. 
Oltre al fido fucile, abbiamo a disposizione anche un coltello utilizzabile per delle kill silenziose e un’arma secondaria dotata di silenziatore. Se da una parte il silenziatore rientra nel contesto stealth del gioco, dall’altra la calibrazione dell’arma ha del ridicolo: ci troveremo a maneggiare la più letale delle pistole mai apparsa in un videogioco. Basta infatti un solo colpo per far fuori qualunque nemico, sia che venga colpito in mezzo alla fronte o che il proiettile gli trafigga la coscia, non fa differenza. Come per il fucile, anche per la pistola vale la regola one shot, one kill. 




Un colpo a vuoto

Dal punto di vista tecnico, Sniper: Ghost Warrior 2 non brilla per la sua realizzazione. Sebbene venga impiegato il CryEngine 3 che abbiamo visto magistralmente all’opera in Crysis 3, il risultato ottenuto dagli sviluppatori è piuttosto altalenante. A livello grafico alcune location sono risultate di sicuro impatto e anche l’effetto dell’acqua ci ha sorpreso. Dall’altra però i City Interactive hanno dimostrato che un potente engine non basta se non lo si sa programmare a dovere. Le differenze tra questo titolo e il già citato prodotto di Crytek sono abissali, in primo luogo nelle cut scene di qualità bassissima. I volti dei personaggi e le mimiche facciali durante i dialoghi sono da rivedere e anche gli effetti particellari non sono all’altezza delle potenzialità del motore a disposizione. Inoltre abbiamo riscontrato anche dei fastidiosi problemi di pop-up di texture e oggetti nello scenario. 
La cosa che più di tutti ha sofferto è stata la vegetazione, fondamentale in un titolo stealth come questo in cui muoversi furtivi da un cespuglio all’altro è l’unico modo per guadagnare la migliore posizione per un appostamento senza farsi scoprire anzitempo. Piante e cespugli hanno texture poco curate, e rami in continuo movimento rendono difficile capire se si è effettivamente al riparo dallo sguardo dei mercenari in zona. Per quanto riguarda il frame rate non abbiamo incontrato problemi, ma dobbiamo specificare che abbiamo giocato la versione PC del gioco con una configurazione medio-alta, probabilmente la migliore presente sul mercato. Infatti come spesso capita in questi periodi a cavallo tra due differenti generazioni di console, sempre più titoli vedono nella controparte PC quella con la migliore realizzazione tecnica e non siamo in grado di esprimere giudizi grafici sulle versioni per console. 
Il comparto audio non spicca per qualità e porta con sé un costante problema di regolazione dei volumi. Gli effetti ambientali sono troppo bassi quando si parla di esplosioni o crolli, mentre sono troppo pronunciati i rumori provenienti dalla vegetazione: gli stagni e gli acquitrini filippini sono pieni di insetti tediosi il cui ronzio troverete velocemente insopportabile.


recensione di http://www.spaziogames.it/

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